Il 5 e 6 novembre 1994 una grave alluvione interessò gran parte del territorio piemontese. In questi giorni, a distanza di 20 anni, l’emergenza in Piemonte e in Liguria ne ha reso ancora più vivo il ricordo. Ma cosa è cambiato nel modo di affrontare un evento di proporzioni simili?

La tragedia di vent’anni fa, prevista con 72 ore di anticipo, ha riconosciuto il ruolo dei servizi meteoidrografici nella definizione delle procedure di allertamento. Sapere come evolverà il meteo non può certo impedire le alluvioni o le frane. Può però consentire di alleviare i danni, allertando le popolazioni in tempo utile e nei limiti delle possibilità di questo genere di previsioni. In questo il Servizio Geologico regionale è stato l’artefice principale del nuovo approccio per la comprensione dei fenomeni e le conseguenti strategie di contrasto. Ma le direttrici principali dell’azione della Regione in questi anni sono almeno quattro: un supporto scientifico di base per una robusta trattazione teorica dei fenomeni, un approccio multidisciplinare tra materie tradizionalmente non comunicanti, una forte sensibilizzazione degli apparati pubblici chiamati a intervenire e la creazione di una coscienza collettiva di protezione civile nella popolazione e nei mezzi di comunicazione.

Oggi i sistemi di allertamento si basano sulla previsione di un probabile scenario prefigurato di evento per ambiti territoriali significativamente omogenei, nonché dei conseguenti effetti sulla integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente. L’individuazione di valori di soglia costituisce l’indicatore quantitativo dell’insorgenza del rischio. Pensiamo alle frane: oggi possiamo individuare le precipitazioni critiche associate al loro innesco e quindi determinare la curva che divide il campo della stabilità da quello dell’instabilità. Stessa cosa per le esondazioni: possiamo definire la portata “critica” in una prefissata sezione di controllo. L’introduzione del sistema di allertamento, insieme alla crescita della conoscenza e sensibilità degli operatori istituzionali e della popolazione, ha per esempio permesso di raggiungere un importante risultato in termini di riduzione del numero delle vittime per l’alluvione del torinese nel 2000, paragonabile per dimensioni ed effetti all’evento del Tanaro del 1994.

Il Piemonte è stato un precursore. L’organizzazione nazionale ha mutuato dal sistema piemontese le linee di indirizzo e le metodologie per la definizione su tutto il territorio italiano delle zone di allertamento e la messa a punto dei sistemi di valutazione degli effetti al suolo e dei livelli di criticità. In tutto questo L’ICT ha svolto un ruolo fondamentale. I primi strumenti sono nati dall’analisi delle carenze evidenziate nel 1994 e si sono sviluppati di pari passo con l’evoluzione delle tecnologie e delle conoscenze sugli eventi che da allora si sono susseguiti: la modellistica previsionale, meteorologica e idrologica nelle varie risoluzioni spazio-temporali, i processi di calcolo per l’assimilazione dei dati e la loro validazione, gli strumenti di gestione e implementazione di banche dati tematiche di particolare capacità e complessità.
Ma quando si parla di tecnologie, il futuro vede all’orizzonte sfide ancora più interessanti. “Il CSI infatti sta ampliando il proprio bagaglio di competenze specialistiche di materia, conducendo per esempio alcune sperimentazioni che hanno visto l’uso di droni per attività di monitoraggio o di acquisizione di dati e rilievo cartografico”, spiega Franco Gola, Direttore Soluzioni Applicative del CSI-Piemonte. “E presto dovremo considerare i social network una parte integrante del sistema, sia come luogo in cui trovare informazioni vitali per la gestione tempestiva delle emergenze che come veicolo per far arrivare velocemente informazioni utili alle popolazioni colpite da un evento calamitoso”.

Anna Carbone

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