A margine dell’incontro torinese del 21 gennaio, abbiamo intervistato il Direttore dell’Agenzia per l’Innovazione Digitale Alessandra Poggiani. Da una nuova collaborazione fra PA centrale e locale al ruolo delle Unità di Progetto, la ricetta AgID per riportare l’ICT pubblica italiana al livello delle altre nazioni europee.

Direttore Poggiani, all’evento torinese si è discusso di Agenda Digitale e rivoluzione informatica della PA. A che punto siamo?
I dati dicono che l’Italia è terzultima in Europa su 26 nazioni su quasi tutti gli indicatori. I nostri Piani Banda Ultra Larga e Crescita Digitale indicano quello che possiamo e dobbiamo fare in merito al grande tema delle infrastrutture disponibili a livello nazionale – da promuovere attraverso la collaborazione con i privati – e dei servizi, per i quali vogliamo rilanciare la domanda. Contando che siamo in una situazione in cui il 40% delle persone ancora non accede quotidianamente a Internet.
Le direttrici che ci siamo dati sono tre. Innanzitutto vogliamo cambiare il rapporto di persone e imprese con la PA. Parliamo per esempio di usabilità: abbiamo tanti servizi pubblici ma mediamente complicati o pensati solo per digitalizzare servizi che già esistono. Ci verrà in aiuto Italia Login, la casa digitale degli italiani che racchiude l’anagrafe unica centrale, un sistema pubblico di identità digitale e il portale dei pagamenti per transazioni on line nella PA. Vogliamo realizzare una prima release già entro quest’anno.

E gli altri due punti?
Il secondo è rappresentato dalle “Smart cities”. La città – e Torino in questo ha grande esperienza – è l’ambiente da cui parte la comprensione del digitale come base per lo sviluppo economico. Dobbiamo usare le città come laboratori che anche le piccole e micro imprese possono utilizzare per immettere più digitale dentro la propria offerta. Infine, ma non meno importanti, le “Competenze digitali”. Vogliamo far capire ad aziende e tessuto produttivo che il digitale non è una minaccia ma un’opportunità. Non vuol dire solo innovare programmi scolastici o introdurre le tecnologie nel curriculum di primarie e secondarie. Ma anche trovare il modo di portare le piccole imprese a fare quel salto che non hanno ancora fatto. Basti pensare che in Italia solo il 4% delle imprese vende on line.

Qual è il ruolo delle Unità di Progetto AgID?
Oggi possiamo cambiare il Paese solo se lavoriamo uniti. Le Unità di Progetto vanno in questa direzione. Essere vicini al territorio, e non soltanto presenti a livello nazionale, è la chiave per rendere veramente possibile la rivoluzione digitale. Vogliamo co-progettare l’Italia di domani con tutti i livelli di Governo e con la società civile, lavorando in sinergia con Comuni, Regioni, PA centrale e operatori economici.
Quello che non ha funzionato finora è l’eccessivo individualismo mostrato a livello locale, per esempio sviluppando fascicoli sanitari uno diverso dall’altro. Dobbiamo lavorare per tutti, mettendo in relazione diverse in-house e diversi territori. L’AgID deve comportarsi un po’ come un vigile urbano e smistare il traffico: se un tema è gestito meglio in Piemonte, lo dobbiamo far fare al Piemonte e così via per ogni realtà italiana. Non ci sono alternative, il tempo a disposizione è poco.

In tutto questo quale può essere l’apporto del CSI Piemonte?
Il territorio piemontese vanta una grande tradizione informatica, grazie anche alla presenza del CSI e a un comparto ICT importante e attivo. Dirò di più: il CSI è una delle realtà più importanti nel settore dell’ICT pubblica. Quella con maggiore esperienza, che ha contribuito a sviluppare servizi veri, che per un certo periodo sono stati anche all’avanguardia. Competenze e rapporti non si improvvisano e noi abbiamo bisogno di questi valori, altrimenti rischiamo che i grandi progetti nazionali restino senza contenuti. Per tutti questi aspetti credo che il CSI sia un nostro alleato naturale. La sfida, come ho detto, è difficile e non credo che un’agenzia di Roma possa essere in grado di cambiare da sola le sorti del Paese. Appoggiarsi e lavorare insieme a chi queste cose le fa da 30 anni, come il CSI, è una opportunità quasi più per noi che per il Consorzio.

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