Il professor Mario Rasetti, Presidente della Fondazione ISI, ha aperto i lavori dell’appuntamento CSI dedicato a Big Data e Internet of Things. Lo abbiamo raggiunto per rivolgergli alcune domande.

Prof. Rasetti, nel suo intervento ha descritto con precisione il “contesto” dei Big Data. Perché è tanto importante?
Perché dimostra che per poter operare efficacemente sui Big Data servono persone giovani e fortemente preparate. È una questione di mentalità e formazione. E in questo oggi le nazioni storicamente più importanti, penso a USA o Europa, sono in crisi di fronte a realtà arrembanti sia dal punto di vista anagrafico che economico, come Brasile, Cina o India. Se vogliamo padroneggiare quella che ho definito come “quinta rivoluzione” (dopo i mainframe, i personal computer, il web 1.0 e l’epoca dei social 2.0), dobbiamo capirlo e intervenire di conseguenza, puntando su scuole e università. Perché il nostro presente è già fatto di sensori e scatole nere e il futuro accelererà questa tendenza.

In che misura?
Già oggi 4,7 miliardi di persone hanno un cellulare. Ci scambiamo ogni giorno 6 zettabyte di dati fra mail, sms o fotografie. Dobbiamo essere in grado di gestire questa mole di informazioni, per trarne le informazioni che ci servono per conoscere il nostro mondo e governarlo. È questo il compito della data science, una sfida difficile e complessa. Ma è anche una enorme opportunità sociale e “politica”. Se è vero che nel mondo fra il 2015 e il 2016 serviranno ancora molti data scientist: un milione e mezzo per MacKinsey (2013) e addirittura 4,5 milioni secondo IBM (2014).

Nella sua visione si tratta di una sfida non solo tecnologica.
Possiamo avere il computer più potente del mondo, ma non basterà a risolvere i problemi che abbiamo di fronte. Perché i Big Data non si affrontano con la logica delle macchine di Turing, che gestiscono funzioni ricorsive. È un approccio anche culturale. Dobbiamo estrarre valore dai dati, trovare le informazioni che contengono e capire le correlazioni che esistono fra di loro. Da qui arriviamo ad avere la conoscenza di un fenomeno e quindi possiamo immaginare che interventi fare su di esso, simularne gli effetti.
Come ha detto il Presidente Obama, la vera essenza dei big data è che si possano prendere decisioni basate sulle evidenze. È quello il motivo per cui ci spendiamo tanta energia intellettuale per arrivare al sapere. Possiamo dare un aiuto senza precedenti ai policy makers, fornendo loro gli scenari di riferimento.

Che risultati avete raggiunto?
Uno dei risultati più interessanti, e che conosco meglio essendovi coinvolto in prima persona, riguarda un nuovo algoritmo che abbiamo messo a punto e sperimentato. È basato su tecniche matematiche molto complesse e abbiamo avuto una prova del suo funzionamento studiando i dati di risonanze magnetiche al cervello, fornitici dal Dipartimento di Neuroscienze dell’Imperial College di Londra. Sono dati che rappresentano centinaia di serie di misure di risonanza magnetica di circa 300 persone. Esaminandoli con il nostro algoritmo abbiamo capito che erano fondamentalmente riconducibili a due grandi categorie di persone: quelle in trattamento con psicofarmaci e quelle che non ne assumevano. I medici lo sapevano, ma noi no. È emerso dai dati. Ed è proprio questo il grande successo. Se diventiamo capaci di ascoltarli e di decifrarne i segreti, i dati ci parlano e ci forniscono strumenti fondamentali per governare la nostra realtà, fisica o virtuale che sia.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here