Parte dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino l’appello che in pochi giorni ha già raccolto oltre sessanta firme di docenti universitari di diritto. L’iniziativa serve a porre l’attenzione su una nuova tecnica investigativa, che consiste nell’installazione occulta di virus informatici (“Trojan”) in dispositivi elettronici portatili come smartphone, tablet e notebook, attraverso l’invio di email, sms o applicazioni di aggiornamento.

Grazie a questa tecnologia, il cosiddetto “captatore informatico” viene iniettato nel device consentendo lo svolgimento di varie attività: captare tutto il traffico dati in arrivo e in partenza dal dispositivo ‘infettato’ (navigazione e posta elettronica); attivare il microfono e apprendere per tale via i colloqui che si svolgono nello spazio che circonda il soggetto, dovunque egli si trovi; mettere in funzione la web camera, permettendo di carpire le immagini; perquisire l’hard disk e fare copia delle unità di memoria del sistema informatico preso di mira; decifrare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera (keylogger) e visualizzare ciò che appare sullo schermo del dispositivo bersaglio (screenshot).

“La Costituzione e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo – ricorda l’Università in una nota stampa – richiedono che simili ingerenze dell’autorità pubblica nella vita privata degli individui debbano essere previste e regolate dal legislatore. Il problema è che né il codice di procedura penale né altre leggi autorizzano oggi espressamente l’uso di tali strumenti in chiave investigativa, rimettendo così ai giudici il compito di stabilire se e in che misura sia consentito farvi ricorso”.

L’iniziativa dell’Ateno invita quindi il legislatore, nel caso in cui ritenga indispensabili questi strumenti, a provvedere prontamente a disciplinare la materia, nel pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. Il form di adesione all’appello è disponibile al seguente link.

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