La drammatica alluvione del 1994 ha rappresentato un momento di svolta per l’intera comunità piemontese, che ha tratto da quell’evento l’impulso per far crescere il proprio sistema di protezione civile. Le pubbliche amministrazioni locali hanno giocato un ruolo determinante in questo processo, con interventi a livello legislativo, organizzativo e tecnologico che hanno portato il Piemonte a livelli di eccellenza in ambito nazionale. Ne abbiamo discusso con Stefano Bovo, Responsabile del Settore Protezione Civile e Sistemi Anti Incendi Boschivi (AIB) della Regione Piemonte.

Cosa è cambiato in questi 20 anni? Quanto conta la tecnologia e quanto è importante la diffusione di una cultura della protezione civile tra i cittadini, a partire dalle scuole?
Uno dei ricordi più vivi dell’alluvione 1994 è il fax inviato dal settore geologico della regione alle Amministrazioni locali piemontesi nel pomeriggio del 3 novembre, che annunciava, a oltre 72 ore dall’inizio, l’approssimarsi dell’evento nella sua reale criticità. Un allertamento non raccolto, nella generale assenza di comunicazioni e di strumenti di comunicazione, che figura tra le cause più rilevanti per il determinarsi dei tragici eventi susseguiti.
Nei vent’anni che ci separano da allora la nascita e lo sviluppo dell’attuale sistema di protezione civile è andato di pari passo con lo sviluppo delle tecnologie, non solo a supporto del miglioramento delle conoscenze e del preannuncio meteo-idrologico, ma soprattutto della comunicazione sia di carattere operativo (sistemi di telecomunicazione di emergenza affidabili e ridondanti, sistemi massivi di disseminazione degli allarmi e dei dati di monitoraggio), sia di informazione alla popolazione. Il tutto basato sulla rete e sulle nuove tecnologie di comunicazione sociale.
Il corretto e consapevole utilizzo di tali strumenti non può prescindere da una accresciuta cultura di protezione civile, nei confronti della quale il Settore regionale competente ha investito molto. Con percorsi di formazione indirizzati ai vari utilizzatori: dall’ambito istituzionale (amministratori e tecnici), all’educazione ai rischi e alle tecniche di autoprotezione proposte alle nuove generazioni, grazie alle attività dedicate alle scuole.

È chiaro oggi che occorre investire sempre di più sulle attività di previsione e prevenzione dei rischi. Anche con l’ausilio delle tecnologie ICT. A che punto siamo in Piemonte? Possiamo pensare che in futuro la programmazione e la pianificazione di protezione civile si integrino strettamente con altre pianificazioni territoriali, prima fra tutte quella urbanistica?
La Regione Piemonte è consapevole dell’elevata frequenza degli effetti prodotti dai fenomeni naturali. Per questo ha operato attivamente per migliorare l’affidabilità delle previsioni di pericolosità in termini spaziali e temporali. È risultata vincente la visione “globale” con la quale si è affrontato il tema del rischio idrogeologico, coinvolgendo in maniera sinergica conoscenze e competenze multidisciplinari: meteorologi, idrologi, ingegneri idraulici e geotecnici, geologi e tecnici del territorio.
In tutte queste fasi la Regione è da tempo presente e attiva, spesso con caratteristiche di anticipazione e guida, attraverso soprattutto la formula vincente della “gestione unitaria”, assicurata dall’unitarietà di indirizzo conferita dalla Direzione Unitaria della Difesa del Suolo, della Gestione delle Opere Pubbliche e dell’assetto idrogeologico, della Prevenzione Territoriale del rischio idrogeologico e della Protezione Civile.
È la Direzione più grande della struttura amministrativa regionale, all’interno della quale operano funzionari tecnici di lunga esperienza e provate capacità, testimoniate nelle purtroppo numerose ricorrenze calamitose che hanno interessato la regione negli ultimi decenni. Strettamente collegata a essa è la struttura di Previsione e Monitoraggio di ARPA Piemonte, con la sua pluriennale esperienza tecnico scientifica e la costante attività operativa del Centro Funzionale.
La Direttiva 2007/60 del Consiglio Europeo, nota come “Direttiva Alluvioni”, quella per intenderci che disciplina le attività di valutazione e di gestione dei rischi di alluvioni per ridurne le conseguenze negative (su salute, territorio, beni, ambiente, patrimonio culturale e attività economico-sociali), ha disposto la predisposizione entro giugno 2015 dei Piani di Gestione del Rischio di Alluvioni. Si tratta dello strumento che lega pianificazione urbanistica con quella di protezione civile. Parlare di pianificazione oggi significa finalmente confrontarsi con un territorio, i suoi abitanti e la sua storia, ridefinendone priorità e scenari di riferimento futuri, attraverso un processo di partecipazione pubblica che si assuma la responsabilità di garantire condizioni di sicurezza e vivibilità alle generazioni future.

Proviamo ad immaginare le sfide che aspettano il Piemonte nei prossimi venti anni, nell’ambito della difesa del territorio dai rischi naturali. Quali sono, secondo lei, i principali temi sui quali le Pubbliche Amministrazioni piemontesi dovranno misurare il proprio impegno?
I recentissimi eventi alluvionali che hanno interessato Genova e vaste aree dell’Alessandrino in Piemonte, dimostrano come la risoluzione delle incertezze sugli impatti locali specifici del cambiamento climatico nei prossimi trent’anni sia la principale sfida di cui tener conto nella programmazione a medio e lungo termine. È una priorità strategica, particolarmente sensibile per il territorio e il suo ecosistema.
Il problema dei cambiamenti climatici e del loro impatto, infatti, non chiede solo indagini e soluzioni globali, ma la comprensione degli effetti sull’uomo e sull’ambiente in aree geografiche specifiche. I cambiamenti climatici alterano il paesaggio naturale modificando l’intensità, la dimensione e la frequenza dei fenomeni associati ai rischi naturali. Così come le misure di contrasto e mitigazione, anche il processo di allertamento (dalla definizione di rischio a quella di soglie di pericolosità) deve tenere in considerazione condizioni di contorno variabili: la dimensione climatica tanto quanto l’evoluzione degli attributi socio-economici delle aree esposte.

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